Seifenblasen

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Berlin, Paul Lincke Ufer. Foto di Paola Amorosi

lunedì 7 settembre 2015

I falsi misteri di Angela Merkel

L'apertura delle porte ai perseguitati non dovrebbe sorprendere.


  Pare che tutta l'Europa sia stupita dalla "svolta" di Angela Merkel. Come d'incanto sarebbe diventata "buona", dopo almeno un decennio di "cattiveria". Ma ovviamente non è così. Angela Merkel è una tipa coerente e quando le è possibile fa quello che dice e che ha sempre sostenuto.
Per capire, basterebbe conoscere un po' meglio la sua biografia, la quale permetterebbe di comprendere quello che fa e, per capirci, da che parte stia veramente.
  La prima fonte da consultare è naturalmente la biografia ufficiale sul sito della cancelleria federale. È molto scarna, ma già tra i pochi dati salta agli occhi un fatto per lo meno strano. Inizia a fare politica nel 1989, aderendo ad un movimento nato alla vigilia dell'apertura del muro di Berlino. Solo in seguito, negli ultimi giorni della DDR, si iscrive alla CDU (la democrazia cristiana tedesca) della DDR, cioè aderisce ad un partito che di li a poco sarebbe confluito ed assorbito completamente dall'omologo occidentale, la CDU di cui è ora il capo indiscusso e che l'ha portata nel 2005 alla carica di cancelliere.
  La stranezza sta nel fatto che è entrata nella politica attiva relativamente tardi per fare una carriera supersonica che non trova altri paragoni.
  Sono anni che escono su di lei biografie, pamphlet, dossier giornalistici, interviste e servizi televisivi che riportano montagne di notizie ma egualmente non riescono a capire e far capire quale sia il mistero di questa donna indubbiamente capace e molto più potente di quello che il suo modo di presentarsi farebbe supporre.
  In genere i giornalisti anglosassoni insistono sul fatto che Lei sia vissuta nel "paese più paranoico del mondo comunista" e che il suo carattere sia stato forgiato dal terrore in cui viveva nel periodo della guerra fredda (citato dal servizio della BBC "‪The making of Angela Merkel‬ ‪(unusual politician) a German enigma‬" di ‪Andrew Marr‬). Con questa chiave di lettura i bravi giornalisti inglesi ed americani ed i loro epigoni non riusciranno mai a capirla.
  Qualche dubbio dovrebbe venire loro se riflettessero meglio sul fatto che la Merkel, pur essendo nata ad Amburgo, in Germania occidentale, il padre, un pastore protestante, se la portò appresso in fasce a Templin, una cittadina spersa nel Mecklenburgo. Nonostante la paranoica dittatura comunista il padre aprì un seminario per aspiranti pastori protestanti che prosperò nonostante le criminali persecuzioni di cui ci parlano sempre in particolare i giornalisti statunitensi.
  La cosa che probabilmente non riescono a capire i pensatori a stelle e strisce è poi il fatto che nonostante il padre non solo non fosse comunista, ma addirittura sacerdote, la sua figlia ebbe una normale carriera scolastica ed universitaria.
  Tutto questo vuol dire varie cose. Innanzitutto che la storia della DDR probabilmente fu diversa, almeno di un pochetto, da quella che per quaranta anni ci hanno raccontato; secondo che la carriera formativa di Angela basava non su posizioni politiche giuste o sbagliate, ma su di una particolare intelligenza, della quale parlano tutte le persone che l'hanno conosciuta a suo tempo, compresi maestre, insegnanti e professori.
  Ma se non fece attività politica, fatto che non la danneggiò affatto, fu attiva socialmente, partecipando alla vita sociale del proprio paese con normale entusiasmo. Lei stessa lo dice pubblicamente e non ci trova niente di strano ad essere stata addirittura membro dell'associazione di amicizia DDR-URSS.
  Ma c'è anche un motivo per il quale ha potuto prendere una posizione così "sorprendente" in merito alla questione dei profughi, o rifugiati o anche fuggiaschi. Per quanto riguarda il razzismo le sue dichiarazioni e prese di posizione sono sempre state chiaramente ed inequivocabilmente contro ogni forma di razzismo. Se avesse però detto solo un anno fa che avrebbe aperto le frontiere ai profughi, forse la Germania avrebbe reagito con molto fastidio, ma il clima è cambiato nelle ultime settimane tra i tedeschi sono in qualche modo tornate a galla immagini drammaticamente familiari a milioni di loro, ma delle quali per complessi motivi poco si parla: i tedeschi scacciati dalle zone orientali alla fine della seconda guerra mondiale. Non c'è tedesco che non conosca almeno un connazionale ex-profugo (ed oggi i relativi discendenti) che sfollarono da Romania, Ucraina, Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Prussia orientale, Pomerania, parte del Brandenburgo e Slesia. Il dramma della fuga fa parte della coscienza collettiva dei tedeschi, in un perverso equilibrio con l'elaborazione dei drammi biblici causati dai tedeschi stessi ad altri popoli europei, balcanici ed orientali.
  Angela Merkel non ha fatto niente di straordinario e non ci sono misteri: si è sempre dichiarata a favore della solidarietà verso chi soffre ed ha sempre avversato ogni rigurgito razzista. Ha solo aspettato il momento giusto ed ha aperto le porte ai perseguitati tra il consenso e gli applausi di una (finalmente!) maggioranza di tedeschi. Tutto qui.

mercoledì 26 agosto 2015

Schäuble - Potere e debolezza

Un documentario dell'ARD aiuta a capire meglio la situazione

4th EPP St Géry Dialogue; Jan. 2014
  Il 24 agosto 2015 la ARD, il primo canale televisivo pubblico tedesco, ha mandato in onda un documentario dal significativo titolo: "Schäuble - Potere e debolezza". Se venisse mandato in onda dalle televisioni nostrane, forse qualcuno inizierebbe a cambiare opinione su Angela Merkel e Wolfgang Schäuble e capirebbe meglio che partita si sta giocando nel nostro continente.
  L'opinione superficiale e condizionata dai mezzi di comunicazione di massa prevalenti, tanto in voga tra chi ama capire tutto in pochi secondi e commentare immediatamente con frasi ad effetto, immarcescibili, la situazione è chiara: Merkel e Schäuble vogliono conquistare il mondo ed hanno cominciato sottomettendo alla Germania l'Europa intera; prima vittima la Grecia.
  Nel documentario appare più di una volta il collega greco di Wolfgang, il telegenico Varoufakis, il quale ad un certo punto dice una cosa a dir poco pazzesca. Il suo racconto si può riassumere così: in un colloquio a quattr'occhi Schäuble propone una uscita temporanea dall'euro della Grecia. Gianīs chiede di rimando se ha un mandato specifico per una proposta del genere. Wolfgang tace. Gianīs si informa e viene a sapere che questo mandato non esiste, almeno da parte di Angela.
  Questo fatto mette sottosopra l'idea troppo semplicistica che in tanti si sono fatti, cioè di un asse d'acciaio tra la Merkel ed il suo ministro delle finanze, per la conquista d'Europa.
Se l'asse c'è, è di legno, cioè fragile, e vuol dire che Merkel e Schäuble hanno obiettivi diversi. Se l'una vuole ad ogni costo salvare l'integrità dell'euro, l'altro è disposto e rischiarne l'indebolimento, se non addirittura il naufragio.
  Il documentario non fa commenti e non avanza ipotesi, riporta solamente fatti e circostanze. Ora tra i fatti c'è un incontro avvenuto presso la sede americana della Deutsche Bank tra Schäuble ed un "gruppo di investitori", in pratica i rappresentanti delle principali banche d'investimento, Morgan Stanley, J.P. Morgan, Goldman Sachs ed altre ancora, per parlare della Grecia. Riferendo di questo incontro Schäuble dice candidamente: "I banchieri sono preoccupati costantemente per i loro investimenti. Fanno i loro affari, vogliono guadagnare bene, dunque li disturba tutto ciò che li mette in difficoltà. Sono preoccupati per le incertezze e le turbolenze della moneta comune europea. L'euro è la seconda valuta al mondo per importanza ed è fondamentale per l'economia mondiale. È questo ciò che li preoccupa."
  Su cosa si sia detto nella riunione con i banchieri Schäuble non dice altro e niente aggiunge il documentario, ma è noto il fatto che in caso di fallimento dell'euro, tra gli investitori alcuni farebbero dei guadagni strabilianti, avendo scommesso sul crollo della nostra valuta comune.
  Sembra quasi che cancelliera e ministro delle finanze non stiano sulla stessa lunghezza d'onda e si potrebbe pensare che l'uno voglia fare le scarpe all'altra, o addirittura che Schäuble sia servo di due padroni, prendendo iniziative apparentemente in proprio contro le intenzioni della capa. Se così fosse davvero, non si spiegherebbe come mai il ministro non venga dimesso, cosa che sarebbe ovvia, anche perché questo doppiogiochismo non è stato reso noto solo ora, ma se ne sentiva parlare da qualche tempo.
  La cosa diventa comprensibile solamente esaminando da vicino le caratteristiche personali di Schäuble, abilmente riassunte nel titolo del documentario. Lui è notoriamente ambizioso e sin dai primi passi fatti in politica ha puntato in alto. All'ambizione si deve comunque aggiungere una viva intelligenza, buona preparazione ed anche una discreta simpatia. La sua carriera è stata velocissima e ben presto diventa l'uomo di fiducia dei Helmut Kohl, il quale, nei giorni della "riunificazione", gli affida incarichi complessi e delicati, che porta a termine con grande soddisfazione per il capo.
  Un altro suo pregio, l'assoluta lealtà nel bene e nel male, gli tarpa però le ali. Quando, dopo la cosiddetta "caduta del muro", Kohl viene travolto da uno scandalo di oscuri finanziamenti illeciti da parte dell'industria degli armamenti, lui fa da scudo per Kohl e viene travolto, pagandone le conseguenze per lunghi anni.
  Questa sua ferrea lealtà lo fa rimanere al fianco della Merkel, la quale sa che in linea di massima può fidarsi, anche se a volte sembra voler concedere un po' di lealtà ad altri, i banchieri americani, ad esempio.
  Insomma, Merkel e Schäuble non sono proprio come certa stampa menzognera italiana ci racconta, ma bisogna a questo punto constatare, che se un contrasto c'è, non è tra la Germania ed il resto del mondo ma tra Stati Uniti ed Europa. La Grecia è solo una scusa.

venerdì 21 agosto 2015

Una pericolosa “alternativa” tedesca

(Questo articolo è già stato pubblicato su "La Città Futura" del 20 dicembre 2014.
Sono state effettuate delle correzioni e piccole aggiunte.
Sulle evoluzioni del caso tornerò con un nuovo articolo prossimamente)

  La Destra in Germania attraversa una fase di fermento e di ristrutturazione. Emergono nuovi movimenti non dichiaratamente neonazisti, ma che dietro il “doppiopetto” nascondono temi xenofobi e nazionalistici e sfruttano il malessere e il risentimento sociale della piccola borghesia. Tra queste forze spiccano la AfD (Alternative für Deutschland), e la PEGIDA, acronimo che sta per Europei patriottici contro l'islamizzazione dell'Occidente.

  All'inizio c'era la "AfD", Alternative für Deutschland (alternativa per la Germania), un movimento/partito euroscettico apparso dopo il riassorbimento dei "Pirati" e la riduzione del partito liberale alle dimensioni di una bocciofila. Per la prima volta dalla fine della guerra una formazione politica non palesemente di estrema destra faceva propri temi antieuropei e razzisti. Ed ancora dal partito liberale provenivano alcuni dirigenti, i quali si erano immediatamente distinti per le proprie idee confuse, ma tendenti chiaramente alla xenofobia con un tono di sottofondo antisemita, che la FDP non era mai riuscita a dissimulare completamente e che per loro bocca veniva chiaramente a galla.
  La stampa allineata ha tentato in modo più o meno scoperto di aiutare la crescita di questa formazione dalla spontaneità dubbia e dai finanziamenti poco trasparenti, a parte i quasi due milioni di rimborso elettorale avuti dallo Stato. Proprio dal loro principale finanziatore, l'armatore Folkard Edler, si capisce in che direzione intendono marciare: no all'euro e profughi a casa loro.
  Elettoralmente non sono riusciti a superare la soglia del 5% a livello nazionale, ma hanno ormai diversi rappresentanti nei parlamenti dei Länder e una pattuglia di 7 deputati al Parlamento Europeo, accolti a braccia aperte dagli euroscettici di destra.
  Che l'AfD volesse pescare voti in una fascia di elettori moderati delusi dalla CDU lo facevano capire slogan del tipo: "I greci soffrono, i tedeschi pagano e le banche incassano", riunendo in una sola frase tipi diversi di malcontento. Ma quando si tratta di parlare degli organi di informazione, la loro vera anima si palesa. Per l'AfD i giornalisti sono il "branco mediatico", un modo di esprimersi che ricorda perfettamente il linguaggio di Goebbels, il diabolico propagandista di Hitler.
  Mancato il successo della sedicente Alternativa per la Germania, un nuovo movimento si è ora come d'incanto materializzato a Dresda. Si chiama PEGIDA, acronimo in stile tedesco che significa: Europei patriottici contro l'islamizzazione dell'Occidente. Si sono così visti sfilare per le strade di Dresda circa 10.000 cittadini tutti uniti contro "l'estremismo islamico", in difesa della "essenza umana cristiana".
Manifestazione della Pegida a Dresda
  Il successo sorprende per davvero. Innanzitutto in tutta la Sassonia, di cui Dresda è la capitale, gli immigrati sono circa il 2 per cento e i mussulmani in particolare appena lo 0,1 per cento. I motivi devono dunque stare da qualche altra parte e i partecipanti, assolutamente eterogenei, o sono dei paranoici oppure sono spinti da motivi non ancora individuati, ma dimostrano, comunque, che risentimenti nazionalistici e razzismo sono diffusi anche nel mezzo della popolazione e non più patrimonio esclusivo dei naziskin.
  Robert Koall, direttore artistico del Teatro di Stato di Dresda, ritiene che non esista ancora una sorta di guerra civile, ma mette in guarda da interpretazioni troppo affrettate. Non è un fuoco di paglia, ma si tratta di un fenomeno sociale che affonda le proprie radici in un malumore reale che si manifesta, al momento, attraverso reazioni irrazionali basate su dati falsi e informazioni manipolate ad arte.
  In questo senso è da tempo che si sviluppa una campagna che alcuni vedono come pura e semplice sobillazione.
  In prima fila si trova senza dubbio Thilo Sarrazin, già membro del direttorio della Deutsche Bank ed ex-assessore alle finanze di Berlino, personaggio discusso e discutibile, che con un suo libro provocatorio ha spacciato per dati di fatto, banali pregiudizi razzisti e autentiche panzane.
  Comunque, per tornare all'AfD, questa è stata in parte risucchiata nella presenza mediatica dalla PEGIDA, avendo entrambe le formazioni in comune gran parte della base popolare, fatta di naziskin, pensionati preoccupati e famigliole incerte e preoccupate.
  Questa settimana (fine dicembre 2014) è arrivata dalla bocca di Angela Merkel la scomunica, sollecitata a gran voce da più parti: "In Germania vige la libertà di manifestare, ma non c'è nessuno spazio per l'istigazione all'odio e alla diffamazione di persone provenienti da altri paesi".
  Questo dovrebbe arginare almeno in parte l'espansione della PEGIDA, ma esiste anche il pericolo che si sviluppino legami sempre più effettivi con movimenti neonazisti che si stanno allargando minacciosamente in diversi paesi membri dell'UE, come in Ungheria o nei paesi baltici. Ad alimentare una possibilità del genere c'è la constatazione, avanzata dal filosofo neomarxista sloveno Slavoj Žižek, secondo il quale il matrimonio tra capitalismo e democrazia è ormai finito e la porta a ogni possibile disgrazia è ormai aperta.
  Aggiornamento: Nel corso del 2015, fino ad agosto, il movimento Pegida è cresciuto solamente in Sassonia, scomparendo quasi del tutto nel resto della Germania. Preoccupante è il fatto, che negli ultimi otto mesi si sono avuti circa 200 attentati contro strutture di accoglienza per i profughi, la maggioranza dei quali perpetrati proprio in Sassonia.

giovedì 20 agosto 2015

Nazi e omicidi: la Germania si processa

(Questo articolo è già stato pubblicato il 9 gennaio 2015 su "La Città Futura" 
http://www.lacittafutura.it/mondo/europa/nazi-e-omicidi-la-germania-si-processa.html.
Sono state apportate alcune correzioni ed aggiunte esplicative. Da allora ad oggi nella vicenda si sono avuti colpi di scena e sviluppi clamorosi che tratteró in un prossimo articolo nuovo di zecca)

Quello che doveva essere un processo per dieci omicidi a sfondo razzista si sta trasformando in un procedimento contro le deviazioni dei servizi segreti tedeschi. Un gruppo terroristico denominato “Clandestinità Nazista”, ha operato almeno dal 1998 sino al 2011 soprattutto contro immigrati turchi e greci, indisturbato da chi era a conoscenza della sua attività criminale.

  Il 17 dicembre 2014, con la 172ma udienza, si è concluso a Monaco di Baviera il secondo anno del processo per la serie di omicidi compiuti dalla cellula terroristica neonazista denominata “Nazionalsozialistischer Untergrund” (Clandestinità Nazista), nota con la sigla NSU. In Italia questa sigla fa al massimo pensare a una piccola berlina degli anni '70 e tutta la storia sui nostri quotidiani, nelle televisioni ed in rete, ha trovato poca eco e la voce in italiano di Wikipedia è estremamente imprecisa e non riesce a dare lontanamente un'idea del caso.
  A monte del procedimento giudiziario c'è una storia lunga e complessa iniziata circa venti anni fa e mano a mano che il dibattimento va avanti sempre più particolari sorprendenti vengono a galla. Ma vediamo i fatti.
  Il 26 gennaio 1998 la polizia della Turingia operò delle perquisizioni domiciliari in seguito al ritrovamento di bombe di fattura piuttosto artigianale. A casa di tre appartenenti ad una rete neo-nazista, già noti da tempo, furono rinvenuti ordigni identici, oltre a vario materiale documentario. I tre, Uwe Mundlos, Uwe Böhnhardt e Beate Zschäpe entrarono in clandestinità, facendo perdere le proprie tracce.
  I due uomini riapparirono circa quattordici anni dopo, il 4 novembre 2011, in una drammatica sequenza criminale ad Eisenach, sempre in Turingia. Erano in trasferta a bordo di un camper per eseguire una rapina. Il colpo andò bene, ma non fecero in tempo ad uscire dalla città, rimanendo intrappolati nel cerchio dei posti di blocco. Attesero nel camper l'evoluzione degli eventi e quando videro avvicinarsi dei poliziotti appiccarono il fuoco e si suicidarono a colpi di pistola. Questa almeno la versione ufficiale distribuita alla stampa.
  Erano ancora in corso i rilievi per identificare i due rapinatori quando qualche ora dopo a Zwickau, a circa 180 chilometri di distanza, salta in aria un appartamento che era stato incendiato. Il pronto intervento dei vigili del fuoco permise alla polizia di recuperare molto materiale, tra il quale diverse armi da fuoco, un computer, che poi si rivelerà importantissimo e dei CD con un filmato di rivendicazione di 10 omicidi. Fu subito chiaro che ci si trovava di fronte alle macerie del sicuro nascondiglio dei tre latitanti. I due del camper furono infatti identificati per Mundlos e Böhnhardt, dopo di che la polizia si mise alla ricerca della Zschäpe, sospettata per l'esplosione di Zwickau. La ricerca non durò molto, visto che la donna si presentò dopo quattro giorni di fuga agli inquirenti, ma per non dire assolutamente nulla, se non “sono quella che cercate”.
  Il caso sembrava risolto. Tre fanatici neonazisti, costituenti un gruppo isolato e senza contatti esterni, apparentemente avulso dagli ambienti di estrema destra noti, aveva concluso la propria attività. Non ci si chiedeva nemmeno con troppa insistenza che cosa avessero fatto durante i dieci anni di fuga passati in un comodo appartamento superattrezzato, come se si fossero dedicati esclusivamente a delle rapine di autofinanziamento tra Sassonia e Turingia. A cambiare la scena fu la Zschäpe, la quale, prima di costituirsi, aveva spedito per posta a vari indirizzi il DVD con le rivendicazioni. Un cartone animato della Pantera rosa manipolato con discreta professionalità racconta in modo cinico ed irriverente dell'esecuzione sommaria di otto turchi, un greco e una poliziotta, alla quale avevano preso la pistola e tenuto per ricordo le manette.
  Sino ad allora, dopo ogni omicidio, le varie polizie (in Germania ogni Land ha il proprio corpo di polizia) avevano cercato i colpevoli esclusivamente tra gli immigrati stessi, dando per scontata la traccia del racket, della resa di conti tra spacciatori, di odii tra le varie etnie anatoliche o manifestazioni di non meglio precisate mafie straniere. Nonostante il fatto che tutte le esecuzioni furono eseguite seguendo un copione sempre uguale, non c'è stato scambio di informazioni tra i diversi comandi e mai nessuno ha avuto il sospetto che si potesse trattare di crimini a sfondo razzista compiuti da elementi neonazisti.
  Questa prima anomalia emersa, mise in allerta i rappresentanti di diversi partiti e si formarono commissioni d'inchiesta regionali e una federale. Venne a galla una serie di fatti incredibili: in diversi servizi di sicurezza, sia a livello locale, sia a livello federale, decine di faldoni con documenti e migliaia di file informatici riferibili al gruppo NSU, del quale ufficialmente non si sarebbe saputo nulla, erano stati distrutti e cancellati in modo illegale.
  Seguì la solita sequenza di dimissioni per stendere un pietoso velo sull'accaduto, ma la richiesta di spiegazioni non si placava. Le scuse furono quasi peggio del danno, dato che da parte dei vari servizi si disse in merito ai documenti eliminati che le norme sulla tenuta degli archivi venivano ottemperate in modo approssimativo. Ne risultava un'immagine alquanto strana dei servizi tedeschi, quasi fossero un comitato dei festeggiamenti per il carnevale. Non solo Edathy, presidente della Commissione d'inchiesta federale, ma anche il ministro degli interni federale pro tempore, il cristiano-sociale bavarese Friedrich, fecero dichiarazioni roventi e pretesero provvedimenti per chiarire fino in fondo quali fossero le responsabilità dei servizi.
  Nel 2013 si arrivò al processo. Dato che la metà degli omicidi era avvenuta in Baviera, il tribunale competente risultò quello di Monaco, dove fu allestita una aula-bunker con delle misure di sicurezza mai viste prima; all'ingresso anche i poliziotti venivano perquisiti.
Grande manifestazione antifascista a Monaco di Baviera alla vigilia dell'apertura del processo.
  L'attenzione insolita per questo processo è un altro segno distintivo che ne conferma l'importanza e il peso. La Süddeutsche Zeitung, quotidiano di Monaco, ma letto in tutta la Germania, pubblica in un blog i protocolli dei dibattimenti, riassunti poi in un fascicolo speciale a fine anno. Secondo la cronista che segue il processo, qui si tratta della storia della Germania e la stessa giornalista crede che comunque alla fine molti dubbi e interrogativi resteranno. Non a caso, dunque, il processo, che durerà, secondo le attuali previsioni almeno fino alla fine del 2016, è già stato oggetto di elaborazioni teatrali e argomento di alcuni radiodrammi.
  Il giudice che presiede la corte, otto togati in tutto, non è uno qualsiasi, ma lo stesso Manfred Götzl già noto per un processo contro un criminale di guerra nazista, responsabile di un massacro di civili nei pressi di Cortona, condannato all'ergastolo. In questi primi due anni di dibattimento si è dimostrato fermo e deciso, rigettando tutte le eccezioni presentate dalle difese che vorrebbero trattare esclusivamente gli episodi criminali e sorvolare sulle motivazioni “politiche” e sui collegamenti esterni dei tre.
  Quello che è emerso sino ad ora con assoluta chiarezza, anche se nessuno ha per ora il coraggio di esprimerlo in modo compiuto, è che i tre abbiano avuto contatti con singoli e associazioni per tutto il periodo della latitanza e che i vari servizi sapevano benissimo che cosa stessero facendo. Anzi, sembra addirittura che procedessero, tramite agenti sotto mentite spoglie, su ordini specifici. È risultato, ad esempio, che il comportamento dei tre era perfettamente conformato, nei modi e negli obbiettivi, a un manuale intitolato “Sonnenbanner” (La bandiera del sole), dal quale si potevano apprendere le regole fondamentali della clandestinità, mentre l'obiettivo da raggiungere era la solita destabilizzazione per potere, attraverso una fase di guerra civile, imporre alla Germania un regime autoritario di stampo nazista. Il manuale fu trovato a casa della Zschäpe nella perquisizione del 1998 ed è risultato che ne fu autore Michael von Dolsperg, un infiltrato nel movimento nazista, che lo compilò su sollecitazione del suo anonimo contatto all'interno dei servizi segreti. L'opuscolo, a quanto pare, ha molti punti di contatto con il famoso manuale del “Werwolf” (lupo mannaro), l'organizzazione di “stay behind” della quale fu capo il famigerato Reinhard Gehlen, l'alto ufficiale delle SS, chiamato dopo la fine della guerra dagli americani per organizzare i servizi segreti della Germania occidentale.
  I fatti oscuri che emergono mano a mano che testimoni e coimputati depongono, mandano in brodo di giuggiole gli amanti di complotti e cospirazioni. L'ultimo omicidio del trio, la poliziotta in servizio a Norimberga, ma originaria della Turingia, è un vero e proprio invito a teorizzazioni ardite, dato che i rilievi fatti sul luogo del delitto sembrano fatti da “acciacconi” e non da poliziotti esperti, le cui dichiarazioni sono in parte in contrasto con quanto risulta dai rilievi (a parte il fatto che uno dei tre telefoni che la vittima avrebbe avuto con se è stato ritrovato nel letto del fiume che scorre nei pressi, mentre in un verbale era stato descritto accanto al cadavere della poliziotta).
  Ma ce n'è anche un'altra che sembra fatta apposta per ingenerare grossi interrogativi. I poc'anzi citati Edathy e Fischer, nel 2014 sono stati a sorpresa coinvolti in una inchiesta che ha portato alle loro dimissioni, una ricca tazza nella quale inzuppare il pane del sospetto.
  Gran parte delle sedute a venire si occuperanno dell'aspetto strettamente criminale degli omicidi commessi dai tre, ma mano a mano che deporranno testimoni “politici”, crescerà all'orizzonte una minacciosa nuvola nera che potrebbe trasformarsi in una bufera politico-costituzionale per la Germania, un paese che non riesce ancora a occuparsi del proprio oscuro passato in modo trasparente.

mercoledì 19 agosto 2015

La Germania? Non è “l’America”

(il presente articolo è già stato pubblicato su "La Città Futura" il 4 dicembre 2014.
Sono state apportate piccole correzioni ed aggiunte esplicative)

Sono giovani e lasciano l'Italia in cerca di un futuro. Da soli, ma anche in coppie. Sono laureati e specializzati (anche troppo per gli standard teutonici), ma non conoscono il tedesco e per questo non trovano lavoro. Spesso si riciclano come camerieri e lavapiatti, incrociando la loro sorte con quella delle precedenti generazioni di emigrati.

  Con l'aria che tira si sente parlare da diverso tempo di una nuova emigrazione italiana. Chi può se ne va via, quasi tutti gli altri dicono che se ne andranno appena possibile. Tra le mete preferite, se non la preferita, c'è naturalmente la Germania. Chi resta tira qualche accidenti alla Merkel, chi parte, o crede di poter partire a breve, parla della Germania così come un tempo assai lontano si parlava dell'America e si chiedevano in prestito alla mamma cento lire.
  Oggi la mamma deve sborsare giusto qualcosetta in meno di cento euro per pagare un biglietto aereo per Berlino. Neanche due ore e per molti l'avventura può partire...
  Sono ormai esattamente cinquanta anni da quando l'ondata migratoria verso la Germania, iniziata con l'accordo bilaterale italo-tedesco del 1955, aveva raggiunto il suo apice. Nel 1964 terminò di fatto l'emigrazione “assistita” e con la liberalizzazione della circolazione della manodopera all'interno della Comunità Economica Europea, il flusso verso nord proseguì senza più veri controlli e senza assistenza da parte di uffici governativi.
(fotografia tratta dal sito ufficiale del Ministero dell'istruzione, cultura, scienza
ed arte dello Stato della Baviera, "Haus der Bayerischen Geschichte")
  Il capitalismo tedesco aveva rialzato la testa dopo la sconfitta della seconda guerra mondiale e non tollerava più l'intromissione pubblica. La tanto sbandierata “liberalizzazione” significava però non solo meno assistenza tecnica, ma anche meno garanzie per i lavoratori. Anche gli italiani, come greci, turchi, spagnoli e portoghesi, erano quasi tutti manovali e i monopoli industriali cercavano in ogni modo di assumerli a condizioni sfavorevoli, usandoli inoltre come arma di ricatto nei confronti degli operai tedeschi.
  Il disegno padronale trovò nella massa degli italiani tanti, troppi lavoratori consapevoli e combattivi, tanto che sempre meno di loro riuscirono a trovare un posto fisso. Furono preferiti i turchi, i quali, nonostante la riluttanza e la scarsa capacità di integrazione, facevano meno storie a livello sindacale.
  L'afflusso di italiani diminuì, ma restò abbastanza costante, tanto che la loro comunità in Germania dai 296.000 del 1964 è passata a circa 600.000 dei nostri giorni. Gli imprenditori si erano accorti che gli italiani erano comunque ottimi lavoratori e non ne potevano fare a meno. In alcuni casi, come alla Volkswagen, richiamarono dall'Italia gli ex militari internati che furono impiegati come lavoratori coatti tra il '43 ed il '45.
  Tanti degli emigrati “vecchio stile” sono rimasti in Germania e i loro figli e nipoti si sono in gran parte integrati perfettamente e non è assolutamente difficile trovarne in posizioni sociali importanti. Da qualche anno a questa parte, parallelamente alla crisi politica, sociale ed economica in cui versa il nostro paese, è ripartito un flusso migratorio con caratteristiche completamente nuove. 
  Diversamente dalla generazione dei nonni, i quali erano braccianti, piccoli contadini poveri o manovali disoccupati, provenienti principalmente dal Sud, dalle isole o dalle Venezie, i nuovi “emigranti” vengono da ogni angolo del paese, hanno una buona istruzione oppure ottimi titoli professionali, parlano qualche lingua —ma non sempre il tedesco— e sono uguali ai propri coetanei del resto d'Europa, almeno nell'aspetto esteriore e nell'uso di dispositivi elettronici. Non mancano nemmeno giovani coppie o nuove famiglie, che partono verso la Germania con l'intenzione di dare ai propri figli un futuro migliore.
Italiani in un ristorante italiano a Berlino
  La gran parte di questi nuovi emigrati punta direttamente a Berlino, da dove proseguono a volte per altre città tedesche appena conosciuto meglio il paese. Non sono rari, e se ne registrano in modo crescente, casi di rientri in patria a causa di guai e problemi non messi in conto prima della partenza. Paradossalmente chi ha un profilo professionale medio-alto può avere maggiori difficoltà a trovare un impiego. Eclatante il caso degli infermieri professionali. Gli standard italiani sono talmente alti, che nessun ospedale o clinica ha in organico un posto che prevede una preparazione del genere. Sono centinaia le assunzioni negate per “Überqualifizierung”, eccesso di qualificazione; nessun dirigente vuole rischiare di dover discutere con un sottoposto che la sa più lunga di lui.
  C'è poi un altro ostacolo che può rivelarsi esiziale: la lingua. Molti erroneamente pensano che basti parlare bene l'inglese. Se si è turisti non c'è problema, ma sul posto di lavoro di un certo livello senza un buon tedesco parlato e scritto non si va da nessuna parte. Va così a finire che laureati e tecnici si incontrano con gli emigrati della prima ora, i quali nel frattempo hanno aperto trattorie e ristoranti di successo, nelle cui cucine è molto facile trovare un posto da lavapiatti, anche se si è super-laureati. Ai piccoli imprenditori italiani in Germania piace molto discutere con gente colta. 
  Chi si impegna può anche diventare “pizzettaro” o cameriere, a meno che non decida di andare a lavorare in un call center per una ditta interinale, tedesca naturalmente.

martedì 18 agosto 2015

La Germania è prima in tutto, forse

La Germania è prima in tutto, forse

(il presente articolo è già stato pubblicato su "La Città Futura" il 14 febbraio 2015.
Sono state apportate piccole correzioni ed aggiunte esplicative)

I primati della Repubblica Federale si basano su statistiche rivedute e corrette. Dalla potente associazione degli automobilisti alle agenzie per il lavoro, ecco i numeri fai da te per farsi belli. 

  Circa un anno fa un enorme scandalo ha sconvolto i tedeschi, naturalmente nella totale indifferenza del resto d'Europa. In Germania i giornali ne parlano ancora oggi, mentre in Italia praticamente nessuno se ne è occupato, salvo qualche testata minore ed una manciata di blog, ma senza comprenderne la portata. Tutto era partito dall'annuale assegnazione da parte dell'ADAC, l'equivalente tedesco del nostro Automobile Club, del premio "Angeli Gialli" - giallo è il colore delle tute dei meccanici che operano per il soccorso stradale - assegnato ai modelli automobilistici più amati dai tedeschi. La prima, piccola notizia, tra l'altro l'unica che ha fatto breccia nel nostro paese, fu che al numero dei votanti era stato aggiunto alla fine uno zero, da 3409 a 34090. Sembrava poca cosa, ma fino ad un certo punto. Per decenni ad occupare i primi posti c'erano Volkswagen e BMV, nonostante il fatto che alcuni modelli giapponesi vendessero di più di alcuni premiati modelli teutonici equivalenti. 
  Giornalisti investigativi, roba del genere in Germania ancora esiste, iniziarono a fare le pulci all'ADAC, scoperchiando un vero e proprio vaso di Pandora. Tutte le statistiche relative alle sue attività risultavano in qualche modo manipolate e manomesse a proprio vantaggio, e come se non bastasse altre magagne sono saltate fuori, provocando un'ondata di indignazione tra gli oltre diciotto milioni di iscritti.
  Centinaia di migliaia di soci hanno restituito la tessera ed hanno giurato solennemente di non voler avere più a che fare con quella manica di ladri e corrotti. Ma la crisi è rientrata ben presto entro limiti rassicuranti. Del resto l'ADAC è una delle più potenti ed incisive lobby in Germania, capace di intimidire qualsiasi politico che solamente pensi di poter prendere decisioni relative al trasporto automobilistico privato. Ne sa qualcosa Horst Seehofer, l'attuale Primo Ministro della Baviera, il quale si era messo in testa di introdurre un pedaggio per le autovetture sulle autostrade tedesche che attraversano il territorio di sua competenza: è stato letteralmente fatto a pezzi da testate giornalistiche di ogni genere e da un coro di suoi colleghi, il tutto sotto l'occulta, ma non tanto, regia dell'ADAC. Anche ogni tentativo del governo federale di introdurre sulle autostrade un limite massimo di 130 Kmh, come nel resto d'Europa, è stato sempre soffocato sul nascere. 
  Questo scandalo ha avuto però anche un effetto inaspettato che va oltre i limiti del mondo automobilistico, nel momento in cui si è cercato di capire quanto fossero attendibili statistiche, rilevamenti demodossologici e test di qualità. In questo modo tra i tanti altarini che sono stati scoperti, è diventata di pubblico dominio un'altra sfacciata truffa statistica. 
  Nonostante si vociferasse da anni della dubbia validità del sistema di sussidi sociali e della gestione in genere della disoccupazione introdotta dal socialdemocratico Schröder nel 2002, nota sotto il nome di "Harz IV", solo ora si è messa pubblicamente sotto una lente d'ingrandimento critica l'intera baracca, tanto che anche all'estero, tra lo stupore generale, si è venuto a sapere che la Germania pubblica da anni dati falsati sul numero dei propri disoccupati. 
  Il fatto non è di importanza secondaria, perché da questa falsificazione deriva alla Germania tanta ammirazione ed autorità globalmente riconosciuta. Basterebbe dare un'occhiata agli stessi dati statistici ufficiali della Repubblica Federale di Germania per rendersi conto che c'è del marcio. 
  Dal 2002 al 2006, anno dello scoppio della crisi dei subprime, il numero dei disoccupati cresce dal 9,8% al 10,8. Negli anni in cui la crisi investe il nostro continente, il numero dei disoccupati tedeschi inizia sorprendentemente a calare, dal 9% del 2007 allo straordinario 6,7% del 2014, un dato sul quale si fonda lo splendente mito della Germania prima della classe, rigorosa, onesta, precisa ed esemplare, tutta da imitare. 
  Nel 2013 la corte dei conti federale, un organo consultivo, senza poteri reali, ha stilato al termine di una approfondita indagine un lungo rapporto dal quale emerge in modo chiaro che le varie agenzie del lavoro, quelle che gestiscono il sistema "Harz IV", manipolano i dati e fanno sparire dalla scena un gran numero di disoccupati, arrivando a dimezzare il dato reale. Quel rapporto per lungo tempo è stato tenuto segreto, ma, vista la nuova aria che tira, ora trapelano i particolari. 
  Adesso è piú chiaro come veniva raggiunto l'obiettivo: in parte con equilibrismi lessicali ed in parte con carte false. Nella statistica ad esempio rientravano esclusivamente "persone prive di qualsiasi occupazione", mentre ne uscivano coloro i quali erano "alla ricerca di un'occupazione". La scusa è semplice: per ogni curriculum inviato ad una ditta, il disoccupato riceve il rimborso delle spese postali ed un emolumento di 5 euro. Dato che chi riceve dei soldi per fare qualcosa, anche chi è alla spasmodica ricerca di uno straccio di lavoro viene escluso dal novero dei disoccupati. Incredibile ma vero. 
  Poi ci sono le carte false: ogni persona che si registra presso la sede locale dell'agenzia federale per il lavoro, viene solitamente invitato, anzi, prima o poi costretto, a partecipare a qualche corso di aggiornamento professionale, gestito da società appositamente fondate e diffuse a centinaia su tutto il territorio nazionale. Così succede che un grafico debba fare un corso per usare Photoshop, con lezioni impartite da qualche altro disoccupato che se ne intende molto meno di lui. Ma per subire questa umiliazione deve firmare un contratto che gli dà diritto al fantastico emolumento di un euro l'ora. Dato che l'agenzia gli paga l'affitto di casa, ma solo se costa meno di 400 euro, l'assicurazione sanitaria e la previdenza, per l'agenzia è occupato e basta. 
  Si aggiunga che nei conteggi sono contemplati solamente i disoccupati mediati dall'agenzia federale ma non ci sono quelli mediati da agenzie private oppure quelli che ricevono il primo anno di sussidio dopo la perdita del posto, una specie di cassa integrazione.
  Ma quanti saranno allora i disoccupati in Germania? 
  Difficile dirlo. 
  addirittura chi parla di 17 milioni di disoccupati e sottoccupati, ma comunque la gran parte delle fonti afferma che il dato reale dei disoccupati è almeno il doppio. Questa incertezza potrà sorprendere chi conosce solo superficialmente la Germania, un grande paese che non sa nemmeno con esattezza quanti abitanti abbia, non essendo più riuscito ad organizzare un censimento della popolazione come si deve; ma poco importa, tanto le cifre si possono inventare.

venerdì 14 agosto 2015

Acqua pubblica: Germania e Francia da copiare

(Anche questo articolo è già stato pubblicato su "La Città Futura" del 16 gennaio 2015
e sottoposto a piccole correzioni.)
I tedeschi per primi avevano ceduto ai privati i beni pubblici tramite le “public private partneships”, rivelatesi ben presto autentiche rapine ai danni dei cittadini. Monaco di Baviera ha saggiamente tenuto lontani i saccheggiatori. Berlino, truffata tramite un contratto segreto si è ribellata e si è ripresa l'acqua con un referendum, fino all'ultima goccia. E a Parigi vince la rivoluzione dell'acqua libera. 

  Ormai è una litania: dobbiamo prendere esempio dai paesi europei che hanno già fatto le riforme indispensabili per superare la crisi. Renzi e il coro che gli tiene il bordone vogliono riformare a più non posso. Ma cosa vogliono riformare? Una volta, quando la politica parlava una lingua comprensibile, ci si batteva magari per la riforma agraria; era chiaro che si trattava di dare la terra ai contadini. Le riforme di Renzi sono senza aggettivi ed è ormai chiaro che invece di dare, vogliono togliere.
  Dobbiamo, dice Renzi, prendere esempio dagli altri, primi fra tutti i tedeschi. Ma siamo proprio gli ultimi della classe? L'Italia decise nel 1987 con un referendum di uscire dal nucleare, quando in Germania le centrali radioattive andavano alla grande e nessuno pensava di chiuderle, a parte i Verdi, allora ancora impegnati nelle prime incerte battaglie. Berlusconi ha cercato di riaprire le centrali, ma un altro referendum ci ha messo sopra una pietra tombale nel 2011. Possiamo ben dire che se qualcuno ha copiato, è stata la Merkel a copiare noi, quando ha chiuso una decina di centrali tedesche sulla tragica scia di Fukushima. 
  Ora ci si dice che dovremmo imitare la Germania o la Francia, cedendo finalmente la gestione dell'acqua ai privati, nonostante un referendum abbia sancito che l'acqua debba restare in mano al pubblico e la Commissione Europea abbia fatto marcia indietro sullo stesso argomento. Ma poi, pensandoci bene, non sarebbe così sbagliato fare come in Germania o Francia... 
  In Germania c'è l'allegra città di Monaco di Baviera, dove ogni ottobre migliaia di italiani vanno a gonfiarsi di birra. Ebbene, alla “città italiana a nord delle Alpi”, come i bavaresi amano definire la propria metropoli, non è mai passata neanche per l'anticamera del cervello l'idea di privatizzare l'acqua. L'azienda municipale, paragonabile alla romana Acea, è interamente in mano pubblica e oltre a distribuire l'acqua potabile, forse la migliore in assoluto di tutta la Germania, gestisce le reti fognanti ed è tra i maggiori produttori tedeschi di energia. L'Acea monacense è esemplare anche da un punto di vista ambientale. È infatti proprietaria di gran parte dei terreni ricadenti nei bacini imbriferi delle sorgenti dell'acquedotto e i terreni sono dati in uso gratuito a coltivatori biologici. Inoltre per il 2025 è previsto il 100% di energia rinnovabile per il rifornimento della città, che così diverrebbe tra le prime metropoli al mondo tutta ad energia pulita.
  Christian Ude, già sindaco socialdemocratico di Monaco e oggi Presidente dell'associazione dei comuni tedeschi, strenuo difensore dell'acqua pubblica, non ha mezze parole: “La privatizzazione è bella solo il primo giorno, quando si incassano i soldi della vendita, ma poi si resta a mani vuote, non si ha più nulla, non si ha il controllo sull'evoluzione delle tariffe, sulla qualità ecologica, una vera e propria abdicazione del Comune.” Sono ormai tantissimi i comuni della grande Germania che si battono, anche con notevoli successi, contro ulteriori privatizzazioni e soprattutto per la rimunicipalizzazione dell'acqua e di altri servizi. 
  Qui ci dà un bell'esempio Berlino. Dopo che nel 1999, alla chetichella, sulla base di un contratto secretato, inaccessibile agli stessi membri del Senato cittadino, l'acqua era stata data in gestione a due ditte private, l'opposizione, soprattutto tra la cittadinanza, si è mobilitata, giungendo a due referendum che hanno tra mille difficoltà e resistenze, palesi o nascoste, riportato in mani pubbliche l'acqua. La guerra praticamente è vinta, ma qualche battaglia ancora è da combattere. Si tratta di snidare i manutengoli delle multinazionali da partiti e strutture amministrative, la “stay behind” dei monopoli. 
  Una caratteristica tipica della guerra per l'acqua è che qualsiasi operazione e movimento del mostro assetato è accompagnato da un massiccio lobbismo, una propaganda che non bada a spese ed evidenti ed occulti fenomeni corruttivi.
Strabiliante è quanto avvenuto a Parigi, città sede dei capofila delle multinazionali assetatrici. Già da qualche anno l'acqua è tornata interamente pubblica, come spiega efficacemente in un videomessaggio una delle principali protagoniste della battaglia per la ripublicizzazione dell'acqua, Anne Le Strat.
  Quello dell'acqua è un settore estremamente appetibile per imprenditori e investitori famelici e senza scrupoli, dato che si tratta della “richiesta incomprimibile” di un bene che alla fonte non costa nulla. A questo si aggiunge il fatto che tutta l'operazione relativa ai servizi non è altro che una operazione criminale di grosse proporzioni per il saccheggio del patrimonio pubblico e la rapina a danno degli utenti. 
  Ci vorrebbe un voluminoso manuale per spiegare come funziona l'operazione, ma si potrebbe riassumere così: prima di tutto imporre agli enti pubblici un limite di bilancio, impedendogli di assumere crediti e sottoporlo a debiti impagabili. 
Secondo passo, corrompere qualche politico e alcuni funzionari chiave, accompagnando la mossa con una martellante campagna che mira a convincere tutti che il Comune è in crisi per via della gestione pubblica e che solo i privati amministrano bene. Messo alle strette, il Comune cede la gestione dell'acqua potabile e della rete fognante (se c'è, anche la produzione di energia), ma si tiene le strutture (reti idrica e fognante) di cui deve continuare a pagare la manutenzione (che però non farà più né il comune ed ancor meno il gestore privato), l'uno per mancanza di fondi, l'altro per pagare maggiori dividendi agli azionisti privati. 
  Per l'acquisto, il privato paga una cifra sbalorditiva, cosa che fa notizia e fa credere anche agli scettici che la PPP (public private partnership) forse convenga. Che in verità non sia così non si viene a saperlo subito, dato che il diavolo si nasconde in clausole tenute segrete, inaccessibili anche ai membri del Consiglio Comunale. 
  Praticamente, i soldi che il Comune non può prendere in prestito dalle banche, li prende dal gestore privato, al quale li dovrà restituire nel corso degli anni a tassi da usura, un mutuo camuffato, pagato interamente con i soldi dei contribuenti. Intanto, gli impianti deperiscono, la qualità dell'acqua cala e le bollette salgono al cielo (e vanno tutti in tasca al privato), mettendo in difficoltà gli utenti, i quali, con falsa cortesia, vengono definiti “clienti”. 
Con mille trucchi contabili e con vere e proprie truffe si succhia sangue dalla gente, come ad esempio con la doppia vendita dei contatori: con una maggiorazione sulla bolletta se ne paga uno nuovo ogni sei anni, ma la ditta lo cambia ogni dodici, con un guadagno spaventoso.
  Come se non bastasse, anche se il privato ha il 49 per cento delle azioni, il contratto è fatto in modo che il privato possa escludere qualsiasi possibilità di controlli democratici. I contratti durano solitamente trent'anni, al termine dei quali il sistema idrico cittadino sarà talmente a pezzi che dovrà essere rifatto ex novo.
  Peccato che a quel punto nelle casse comunali non ci sarà più un centesimo per farlo, i privati avranno trovato nuovi polli da spennare ed i “clienti” se la prenderanno in saccoccia.