Seifenblasen

Seifenblasen
Berlin, Paul Lincke Ufer. Foto di Paola Amorosi

venerdì 14 agosto 2015

Acqua pubblica: Germania e Francia da copiare

(Anche questo articolo è già stato pubblicato su "La Città Futura" del 16 gennaio 2015
e sottoposto a piccole correzioni.)
I tedeschi per primi avevano ceduto ai privati i beni pubblici tramite le “public private partneships”, rivelatesi ben presto autentiche rapine ai danni dei cittadini. Monaco di Baviera ha saggiamente tenuto lontani i saccheggiatori. Berlino, truffata tramite un contratto segreto si è ribellata e si è ripresa l'acqua con un referendum, fino all'ultima goccia. E a Parigi vince la rivoluzione dell'acqua libera. 

  Ormai è una litania: dobbiamo prendere esempio dai paesi europei che hanno già fatto le riforme indispensabili per superare la crisi. Renzi e il coro che gli tiene il bordone vogliono riformare a più non posso. Ma cosa vogliono riformare? Una volta, quando la politica parlava una lingua comprensibile, ci si batteva magari per la riforma agraria; era chiaro che si trattava di dare la terra ai contadini. Le riforme di Renzi sono senza aggettivi ed è ormai chiaro che invece di dare, vogliono togliere.
  Dobbiamo, dice Renzi, prendere esempio dagli altri, primi fra tutti i tedeschi. Ma siamo proprio gli ultimi della classe? L'Italia decise nel 1987 con un referendum di uscire dal nucleare, quando in Germania le centrali radioattive andavano alla grande e nessuno pensava di chiuderle, a parte i Verdi, allora ancora impegnati nelle prime incerte battaglie. Berlusconi ha cercato di riaprire le centrali, ma un altro referendum ci ha messo sopra una pietra tombale nel 2011. Possiamo ben dire che se qualcuno ha copiato, è stata la Merkel a copiare noi, quando ha chiuso una decina di centrali tedesche sulla tragica scia di Fukushima. 
  Ora ci si dice che dovremmo imitare la Germania o la Francia, cedendo finalmente la gestione dell'acqua ai privati, nonostante un referendum abbia sancito che l'acqua debba restare in mano al pubblico e la Commissione Europea abbia fatto marcia indietro sullo stesso argomento. Ma poi, pensandoci bene, non sarebbe così sbagliato fare come in Germania o Francia... 
  In Germania c'è l'allegra città di Monaco di Baviera, dove ogni ottobre migliaia di italiani vanno a gonfiarsi di birra. Ebbene, alla “città italiana a nord delle Alpi”, come i bavaresi amano definire la propria metropoli, non è mai passata neanche per l'anticamera del cervello l'idea di privatizzare l'acqua. L'azienda municipale, paragonabile alla romana Acea, è interamente in mano pubblica e oltre a distribuire l'acqua potabile, forse la migliore in assoluto di tutta la Germania, gestisce le reti fognanti ed è tra i maggiori produttori tedeschi di energia. L'Acea monacense è esemplare anche da un punto di vista ambientale. È infatti proprietaria di gran parte dei terreni ricadenti nei bacini imbriferi delle sorgenti dell'acquedotto e i terreni sono dati in uso gratuito a coltivatori biologici. Inoltre per il 2025 è previsto il 100% di energia rinnovabile per il rifornimento della città, che così diverrebbe tra le prime metropoli al mondo tutta ad energia pulita.
  Christian Ude, già sindaco socialdemocratico di Monaco e oggi Presidente dell'associazione dei comuni tedeschi, strenuo difensore dell'acqua pubblica, non ha mezze parole: “La privatizzazione è bella solo il primo giorno, quando si incassano i soldi della vendita, ma poi si resta a mani vuote, non si ha più nulla, non si ha il controllo sull'evoluzione delle tariffe, sulla qualità ecologica, una vera e propria abdicazione del Comune.” Sono ormai tantissimi i comuni della grande Germania che si battono, anche con notevoli successi, contro ulteriori privatizzazioni e soprattutto per la rimunicipalizzazione dell'acqua e di altri servizi. 
  Qui ci dà un bell'esempio Berlino. Dopo che nel 1999, alla chetichella, sulla base di un contratto secretato, inaccessibile agli stessi membri del Senato cittadino, l'acqua era stata data in gestione a due ditte private, l'opposizione, soprattutto tra la cittadinanza, si è mobilitata, giungendo a due referendum che hanno tra mille difficoltà e resistenze, palesi o nascoste, riportato in mani pubbliche l'acqua. La guerra praticamente è vinta, ma qualche battaglia ancora è da combattere. Si tratta di snidare i manutengoli delle multinazionali da partiti e strutture amministrative, la “stay behind” dei monopoli. 
  Una caratteristica tipica della guerra per l'acqua è che qualsiasi operazione e movimento del mostro assetato è accompagnato da un massiccio lobbismo, una propaganda che non bada a spese ed evidenti ed occulti fenomeni corruttivi.
Strabiliante è quanto avvenuto a Parigi, città sede dei capofila delle multinazionali assetatrici. Già da qualche anno l'acqua è tornata interamente pubblica, come spiega efficacemente in un videomessaggio una delle principali protagoniste della battaglia per la ripublicizzazione dell'acqua, Anne Le Strat.
  Quello dell'acqua è un settore estremamente appetibile per imprenditori e investitori famelici e senza scrupoli, dato che si tratta della “richiesta incomprimibile” di un bene che alla fonte non costa nulla. A questo si aggiunge il fatto che tutta l'operazione relativa ai servizi non è altro che una operazione criminale di grosse proporzioni per il saccheggio del patrimonio pubblico e la rapina a danno degli utenti. 
  Ci vorrebbe un voluminoso manuale per spiegare come funziona l'operazione, ma si potrebbe riassumere così: prima di tutto imporre agli enti pubblici un limite di bilancio, impedendogli di assumere crediti e sottoporlo a debiti impagabili. 
Secondo passo, corrompere qualche politico e alcuni funzionari chiave, accompagnando la mossa con una martellante campagna che mira a convincere tutti che il Comune è in crisi per via della gestione pubblica e che solo i privati amministrano bene. Messo alle strette, il Comune cede la gestione dell'acqua potabile e della rete fognante (se c'è, anche la produzione di energia), ma si tiene le strutture (reti idrica e fognante) di cui deve continuare a pagare la manutenzione (che però non farà più né il comune ed ancor meno il gestore privato), l'uno per mancanza di fondi, l'altro per pagare maggiori dividendi agli azionisti privati. 
  Per l'acquisto, il privato paga una cifra sbalorditiva, cosa che fa notizia e fa credere anche agli scettici che la PPP (public private partnership) forse convenga. Che in verità non sia così non si viene a saperlo subito, dato che il diavolo si nasconde in clausole tenute segrete, inaccessibili anche ai membri del Consiglio Comunale. 
  Praticamente, i soldi che il Comune non può prendere in prestito dalle banche, li prende dal gestore privato, al quale li dovrà restituire nel corso degli anni a tassi da usura, un mutuo camuffato, pagato interamente con i soldi dei contribuenti. Intanto, gli impianti deperiscono, la qualità dell'acqua cala e le bollette salgono al cielo (e vanno tutti in tasca al privato), mettendo in difficoltà gli utenti, i quali, con falsa cortesia, vengono definiti “clienti”. 
Con mille trucchi contabili e con vere e proprie truffe si succhia sangue dalla gente, come ad esempio con la doppia vendita dei contatori: con una maggiorazione sulla bolletta se ne paga uno nuovo ogni sei anni, ma la ditta lo cambia ogni dodici, con un guadagno spaventoso.
  Come se non bastasse, anche se il privato ha il 49 per cento delle azioni, il contratto è fatto in modo che il privato possa escludere qualsiasi possibilità di controlli democratici. I contratti durano solitamente trent'anni, al termine dei quali il sistema idrico cittadino sarà talmente a pezzi che dovrà essere rifatto ex novo.
  Peccato che a quel punto nelle casse comunali non ci sarà più un centesimo per farlo, i privati avranno trovato nuovi polli da spennare ed i “clienti” se la prenderanno in saccoccia.

Nessun commento:

Posta un commento