Seifenblasen

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Berlin, Paul Lincke Ufer. Foto di Paola Amorosi

domenica 9 agosto 2015

Alcune parole sui rapporti italo-tedeschi

(il presente è il testo, qui pubblicato per la prima volta, di una conferenza tenuta nel settembre 2012 presso l'Institute for Cultural Diplomacy di Berlino nel quadro del seminario Italy Meets Germany.

Per la conferenza è stata presentata una versione in inglese)

 Quello che ho in mente di fare questa sera, è di individuare alcuni pregiudizi tipici e di dimostrare che sono sbagliati ed insussistenti ed allo stesso tempo mettere a fuoco alcuni fatti storici che da secoli e secoli caratterizzano e condizionano il rapporto tra Italia e Germania ed i rispettivi popoli. Vorrei in questo modo contribuire a migliorare i rapporti tra italiani e tedeschi, e riportarli ad un livello di maggiore realtà. Sono infatti convinto che riducendo i reciproci pregiudizi ed aumentando la conoscenza della storia comune, sia possibile abbattere notevolmente i malintesi. Forse qualcuno troverà alcune delle cose che dirò piuttosto dure, ma devo premettere che non amo la tanto sbandierata correttezza politica e che preferisco chiamare le cose per nome ed esprimere concetti anche duri, non graditi a tutti. Devo a questo punto fare una specie di outing, e dichiarare immediatamente il mio punto di vista: la mia visione del problema gode della visuale storica che dà il Campidoglio -quello vero-. Ciò vuol dire che pur non rinnegando la mia metà tedesca, o meglio, accettando entrambe le metà per intero, sono incline a dichiararmi prevalentemente italiano, una specie di esatta parità imperfetta.
 Ma ora andiamo alla radice delle cose, per capire meglio quali potrebbero essere le fonti dalle quali questi pregiudizi scaturiscono e quali motivi storici e psicologici profondi essi hanno. In questa ricerca "ab ovo" mi aiuta il fatto che per la parola italiana "tedesco" in inglese si usi "german".
Gli italiani verbalmente fanno una differenza tra "germani" e "tedeschi", così che sono indotti a pensare che vi sia una profonda differenza tra il passato remoto ed il presente. Stessa cosa nell'altra direzione: i tedeschi fanno una netta differenza tra "romani" ed "Italiani", a volte li confondono anche con non meglio definiti "latini" o "romanici", tanto che alla fine non riescono mai a capire quali e cosa siano gli italiani per davvero.
 Per quanto ho potuto capire io, i tedeschi vedono in fondo in fondo come proprio eroe, come mitico fondatore dell'identità nazionale Arminio, colui il quale nella disastrosa battaglia della Selva di Teutoburgo fermò l'avanzata delle legioni romane verso l'Elba. E, come se non bastasse, molti tedeschi non lo ammettono, riescono ad identificarsi senza tanti problemi con la descrizione fatta dei loro antenati da Tacito.
 In Italia, nonostante le ben note differenze regionali, l'unità nazionale viene data per scontata, anche da parte dei gruppi alloglotti rimasti (come ad esempio i sardi, i grecanici e gli arbresh); dunque non esiste e mai si è sviluppata una propaganda nazionalista esagerata. Cosa che non si può dire della Germania, dove in passato il nazionalismo ha provocato veri e propri sfracelli. Meno è sviluppato e presente il sentimento nazionale, più forte deve essere la propaganda nazionalista.
 I motivi di questo fatto sono molteplici, ma credo che il principale sia un motivo geografico. L'Italia ha a nord l'arco alpino e per il resto tutt'attorno mare; la Germania, a parte quel po' di Alpi al sud ed un paio di strisce di spiaggia a nord, verso ovest e verso est non ha veri e propri confini naturali. Quando il confine ottico coincide con l'orizzonte, si tende spontaneamente ad allargarsi. Non è in questo senso un caso che Roma, nel suo cammino verso l'impero, dopo essere arrivata alle Alpi, ha proseguito ad espandersi prima lungo le coste ed oltremare. I vari popoli nordici, tra germani e celti, se ne andavano avanti ed indietro tra Reno e Vistola, con qualche puntata verso i Balcani, ma non pensavano minimamente ad unificarsi e conquistare il resto mondo. Solamente quando i Romani vollero sottomettere alle regole proprie i variopinti e multietnici abitanti della vasta pianura ad est del Reno, quelli che sembravano dei paciocconi amanti delle grigliate e dediti a colossali bevute di birra, reagirono in modo inaspettato. Si unificarono momentaneamente e guidati da un loro connazionale che aveva imparato l'arte militare dai romani, organizzò una gigantesca imboscata. Circa ventimila legionari romani furono sterminati ed i loro corpi lasciati insepolti, un gesto incomprensibile per i romani; nonostante tutti i loro difetti avevano almeno rispetto per i morti, anche dei nemici.
 Anche se in modo alternante, i romani allora si delimitarono nettamente dai germani refrattari, romanizzando in modo accurato solo la parte di Germania già occupata. Quella frontiera divise in due gruppi ben distinti i germani: i romanizzati dentro al Limes, tutti gli altri fuori.
Per molti dei barbari il nuovo grande vicino divenne molto attraente e ben presto nelle file dell'esercito romano quasi tutti i posti erano occupati da robusti germani, i quali ebbero la possibilità di conoscere ed imparare ordine, disciplina e tutto ciò che ha a che fare con l'arte militare, oltre a poter acquistare la cittadinanza romana.
 Mano a mano che si spense l'impero romano d'occidente, il suo territorio fu occupato da diversi regni germanici, creati da diverse tribù dalla composizione eterogenea. Pur scomparendo come linea di demarcazione, il limes si trasforma in una specie di membrana che permette una osmosi. I romani all'interno del limes vengono più o meno rigermanizzati, mentre quelli all'esterno avviano un nuovo processo di avvicinamento alla romanità, partendo dalla cristianizzazione, fino al punto di sentirsi in tutto e per tutto quasi unici eredi dell'impero romano.
 Ma caduto l'impero d'occidente, interi popoli partirono alla conquista della penisola italiana: goti, vandali, eruli, gepidi; per loro fu un gioco facile, non avendo più l'Italia una vera capacità di difesa e resistenza.
 L'invasione dell'Italia coincise con un periodo di grave crisi climatica che portò, dopo un crescendo, alle spaventose alluvioni degli anni '80 del sesto secolo, le quali culminarono con una inondazione del Tevere, che superò addirittura le mura cittadine nel 589. Le conseguenze di un tale disastro sono ancora visibili nelle immagini satellitari e si distinguono benissimo su "google maps". I porti di Ostia a Roma e di Classe presso Ravenna furono irrimediabilmente interrati, la rete stradale parzialmente cancellata da immense frane, città, paesi e grandi ville inghiottite da poderosi smottamenti ed infine la popolazione decimata da carestie e pestilenze.
 In un'Italia devastata, prima dalla cosiddetta "guerra gotica" e poi dal cataclisma, i Longobardi entrarono quasi passeggiando e conquistarono un territorio tanto vasto e semi abbandonato, da non avere forze sufficienti per sottometterlo tutto, tanto che decisero di attestarsi solo in zone delimitate, a pelle di leopardo. Antiche città Romane e nuovi insediamenti Longobardi si dividevano il territorio, uno accanto all'altro, inizialmente con contatti limitati al termine dei conflitti armati. Ognuno manteneva le proprie tradizioni, usi, costumi e leggi. Sin dall'anno 643, con l'editto di Rotari, questi Germani dimostrarono di non aver nessuna intenzione di integrarsi, ed ancora nel XII secolo troviamo in documenti pubblici e privati persone che dichiarano la propria origine longobarda. Non è affatto un caso che in tutta Italia siano molto diffusi i cognomi Longobardi, Lombardi e simili, come di riscontro troviamo soprattutto nel Meridione il cognome Romano.
 Era importante questa specificazione, perché si doveva sempre dichiarare in base a quale diritto si volesse essere giudicati in caso di conflitti. Inoltre molte cose che si pensa siano tipiche del sud, come le faide o la sottomissione femminile, non sono altro che delle "importazioni" longobarde.
Mi fermo a queste premesse, ma penso che già abbiamo messo a nudo qualche radice, così che possiamo passare ad analizzare alcuni casi particolari che ci aiutino a smontare pregiudizi e capire meglio tanti fatti. Partiamo proprio dalle differenze di natura giuridica. Per i Romani valeva lo "jus solii", per il quale si era cittadino del luogo in cui si nasceva, mentre per i germani era di straordinaria importanza lo "jus sanguinis", che esaltava al massimo i legami di sangue e ti faceva restare germano ovunque tu fossi nato.
 Durante la seconda guerra mondiale ad un partigiano ligure, che di cognome faceva Soldi, questa cosa addirittura salvò la vita. Fatto prigioniero dai tedeschi, fu condannato a morte e rinchiuso in una stalla in attesa della fucilazione. Prima ancora dell'alba improvvisamente si aprì la porta e vide entrare un soldato tedesco. Convinto che quelli fossero gli ultimi attimi della sua vita, pensò alla frase patriottica da gridare in faccia al plotone. Invece in modo brusco il crucco gli chiese: "Tu Soldi?" e lui non poté che rispondere si. Fu preso per il bavero e tirato fuori all'aperto, dove il soldato gli disse ancora: "Mia nonna Soldi" e con uno spintone lo fece scappare. Dunque fu salvo grazie allo "jus sanguinis", per il quale il suo nemico non poteva sopportare l'idea che venisse fucilato un suo possibile parente di sangue.
 Mio padre invece, che disertò dall'esercito tedesco a Roma nel 1943, all'arrivo degli alleati, essendo tedesco, fu arrestato dagli inglesi e sbattuto nella prigione di Regina Coeli. Una vecchia canzone romana dice che chi non passava un determinato scalino dentro Regina Coeli, non era un vero romano. Quando fu liberato, il soprastante gli diede una pacca sulla spalla e disse: "Mo sei romano pure tu", una interpretazione molto larga dello "jus solii".
 Molti tedeschi erano convinti, come già accennato, di essere i veri ed unici discendenti degli antichi romani. Qualche dubbio in merito venne, se ricordo bene, a Ferdinand Gregorovius —il grande storico della Roma medioevale— che un giorno a Trastevere pestò per sbaglio il piede ad un popolano romano. Questo lo fissò negli occhi e disse con tono minaccioso: "Bada straniero, che nelle mie vene scorre sangue troiano".
 L'accenno alla presenza longobarda in Italia ci fa capire che sono ormai almeno mille anni che esiste una vera e propria convivenza tra i due popoli. Questo ha come conseguenza, che pur restando tante differenze, un italiano ed un tedesco fanno presto a fraternizzare o mettersi d'accordo su qualcosa, per non parlare dei casi in cui si tratti di un italiano ed una tedesca, oppure un tedesco ed un'italiana. Si osserva poi a volte un fatto curioso, per il quale un tedesco che viene in Italia tende a diventare perfetto italiano (come sia un perfetto italiano non si può sapere, ma per il tedesco conta la perfezione), mentre un italiano che si stabilisce in Germania, diventa miracolosamente puntuale.
Chiedendo ad un italiano di descrivere un tipico tedesco, di solito viene fuori l'immagine di un Bavarese, con i suoi calzoni corti in cuoio ed il tipico cappello. Ma quanto è veramente "Germania" la Baviera? Più si va al nord della Germania e meno persone si troveranno disposte a considerare la Baviera una parte della Germania, così come tantissimi Bavaresi non si sentono del tutto tedeschi. Un mio amico di Berlino, facendo un viaggio in macchina verso l'Italia con la fidanzata, sull'autostrada poco prima del confine con la Baviera si sentì dire: "Facciamo benzina qui in Germania, che costa di meno…"
 A parte profondi motivi storici sui quali per brevità sorvolo, esistono delle affinità italo-bavaresi incontestabili. A me personalmente capitò di assistere nel capannone di una fabbrica di macchinari per la lavorazione del legno di Thiene nei pressi di Vicenza ad una scenetta veramente edificante. Un tecnico della ditta ed un signore chiaramente tedesco, parlavano animatamente attorno ad una fresatrice. Il dialogo era esilarante, condotto in una lingua inesistente fatta di parole e mozziconi di frasi nelle quali espressioni italiane e tedesche e termini strettamente tecnici si mischiavano allegramente. Alla fine chiesi a quello che si rivelò come un Bavarese delucidazioni e lui mi spiegò candidamente, che la sua ditta non sarebbe stata in grado di produrre una macchina del genere, dunque lui se le comprava a Vicenza, le portava in Baviera, ci avvitava sopra una placchetta con scritto in bella mostra "made in Germany" e le vendeva in Africa. Aggiunse pure che i "negri" non comprerebbero mai una macchina italiana, perché sono convinti che le macchine tedesche sono in tutto e per tutto le migliori al mondo; terminò con una fragorosa risata.
 Vorrei qui raccontare una storia che ha dell'incredibile, ma per la quale posso mettere la mano sul fuoco. Tutti conoscono la Volkswagen, il maggiolone per intenderci, per lungo tempo l'autovettura più venduta al mondo. Chiunque su questo pianeta, anche in Papuasia o sull'ultima isoletta del Pacifico vi saprà dire che si tratta di una macchina "tutta tedesca". Ebbene, non è proprio esattamente così. Gerhard Richard Gumpert, ex diplomatico tedesco, fondatore e proprietario di "Autogerma", una società che tutt'ora vende il marchio VW in Italia, una volta raccontò in mia presenza a mio padre una storia edificante. Porsche non ha inventato molto di nuovo, ma ha sapientemente assemblato brillanti idee italiane con precisione tecnica tedesca. Da giovane ingegnere lavorava per la casa automobilistica tedesca NSU, che nel 1929 fu acquisita dalla FIAT. Così ebbe modo di imparare molto circa gli studi aerodinamici a quel tempo realizzati in Italia e poté conoscere a fondo uno studio per una vettura coloniale equipaggiata con un motore a boxer raffreddato ad aria, perché l'aria non può congelare né bollire.
 Mettendo insieme questi elementi italiani e con un enorme finanziamento ordinato personalmente da Hitler, poté costruire e sperimentare per lungo tempo sei prototipi, raggiungendo così il suo obiettivo.
Quindi, direi che la Volkswagen è piuttosto un preciso assemblaggio tedesco di diverse idee italiane e questa macchina non è altro che un vero e proprio prodotto europeo di successo.

 Quello che si capisce è che oramai, e tanti fatti lo dimostrano chiaramente, italiani e tedeschi non possono fare a meno gli uni degli altri e senza Italia e Germania l'Europa non esisterebbe, nemmeno come idea. Vorrei così concludere con una frase del discusso politico bavarese Franz Josef Strauss, forse l'unica con cui concordo pienamente e che vale per tutte le altre regioni e nazioni europee: "Bayern ist unsere Heimat, Deutschland unser Vaterland, Europa unsere Zukunft". (Il nostro suolo natio è la Baviera, la Germania la nostra patria e l'Europa il nostro futuro).

Non sono stato pagato,
ma ho fatto bella figura.

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